Ad altezza di bambina

“Quel che sapeva Maise”, un film costruito sullo sguardo di una piccola

Maisie è un’incantevole bimba di sei anni. Ha una mamma cantante rock, egocentrica, emotiva e isterica, un padre uomo d’affari, incapace di interagire con la figlia senza ritrovarsi a trattarla come una neonata di pochi mesi. Marito e moglie si odiano, si gridano contro, e si lasciano. A finire in mezzo, l’affidamento della piccola Maisie, bambina di una dolcezza infinita, educata, silenziosa e dallo sguardo triste. Digerita la separazione di mamma e papà, Maisie deve sopportare anche due nuovi matrimoni. Quello del babbo con una giovane baby sitter, Margo, e quello della madre con un aitante, affascinante barman, Lincoln. Famiglie inedite che non carburano e non funzionano, con i due “nuovi” genitori in grado di dare alla piccola quel po’ di amore che i “reali” genitori non le avevano mai dato. “Quel che sapeva Maise”, interpretato dalla diva Julianne Moore nel ruolo ingrato della sconsiderata madre della piccola protagonista, è un bell’esempio di cinema ad altezza di bambino. Un film che adotta il punto di vista innocente della sua protagonista per raccontarci il dramma che sta vivendo all’interno della sua famiglia. In questo senso la pellicola può essere considerata una sorta di versione contemporanea del celebre “Kramer contro Kramer2 dove Meryl Streep e Dustin Hoffman litigavano ferocemente per l’affidamento del loro figlioletto, dopo il divorzio. Una lotta senza esclusioni di colpi in cui i grandi mostrano tutti i loro difetti, mentre i piccoli sono gli unici puri del racconto.

Un maestro del cinema ad altezza di bambino è senz’altro Francoise Truffaut che nel 1959 gira “I 400 colpi”, film autobiografico, in cui si racconta l’infanzia difficile del piccolo Antoine Doinel. Figlio di genitori divorziati, che non gli prestano molta attenzione, Doinel (come Truffaut, appunto) passa le sue giornate tra letture e cinema, girovagando per le strade di Parigi. Pure Steven Spielberg, in tempi più recenti, gira un film in parte autobiografico. “Et”, la storia di un dolce extra-terrestre che finisce sulla terra e viene salvato da un ragazzino, si ispira a un periodo dell’infanzia del regista americano, quando i genitori si stavano separando e lui immaginava di avere come amico proprio un piccolo extra-terrestre. Anche Pupi Avati si è cimentato ne “Il bambino cattivo”, un film per la tv, in una storia che ha per protagonista un ragazzino, i cui genitori stanno divorziando. Brando viene affidato prima al padre, perché la madre soffre di crisi depressive. Poi finisce dalla nonna, perché il genitore non vuole prendersi cura di lui. Infine si ritroverà in una casa famiglia con altri bambini come lui. Una storia drammatica, che però ha un finale positivo: Brando troverà, infatti, una famiglia adottiva che lo accoglierà con amore. Oggi, attraverso gli occhi dolci della piccola Maise, il cinema ci offre un altro bell’esempio di pellicola capace di raccontare realisticamente, senza scadere nel melodramma, il mondo dell’infanzia e i problemi che a volte i bambini si trovano, loro malgrado, ad affrontare.