Accordo con le Farc. Mons. Castro (presidente vescovi), per la Colombia “appuntamento con la storia”

Lunedì 26 settembre arriveranno nella splendi da Cartagena capi di Stato e autorità da tutto il mondo per assistere alla solenne firma del trattato di pace tra governo colombiano e guerriglieri delle Farc. Un momento ufficiale, che fa seguito all’effettivo accordo raggiunto circa un mese fa all’Avana. Sei giorni dopo la firma, domenica 2 ottobre, l’ultima parola spetterà ai colombiani. La posizione della Chiesa colombiana, mentre ferve l’attesa per una possibile visita di Papa Francesco

“Il nostro Paese è atteso da un appuntamento con la storia, manca solo un passo”. Monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente dei vescovi colombiani, parla con calma, in modo prudente ma anche schietto come quando afferma che la “Chiesa non si sta comportando come Ponzio Pilato” rispetto al plebiscito del 2 ottobre sul trattato di pace.
Intervistiamo mons. Castro – padre della Consolata e in passato in prima linea come vicario apostolico in uno dei luoghi più caldi della guerriglia colombiana, San Vicente de Caguan – proprio mentre la Colombia si appresta a vivere la settimana più importante e decisiva della sua storia recente. Lunedì 26 settembre arriveranno nella splendida Cartagena capi di Stato e autorità da tutto il mondo (tra cui il segretario di Stato del Vaticano, card. Pietro Parolin) per assistere alla solenne firma del trattato di pace tra governo colombiano e guerriglieri delle Farc. Un momento ufficiale, che fa seguito all’effettivo accordo raggiunto circa un mese fa all’Avana. Sei giorni dopo la firma, domenica 2 ottobre, l’ultima parola spetterà ai colombiani: se il 13% (questo il quorum stabilito) voterà al plebiscito e, se prevarrà il Sì, gli accordi diventeranno irreversibili e operativi. La campagna elettorale si sta rivelando aspra e l’ex presidente Alvaro Uribe Vélez sta guidando una forsennata battaglia per il No, dipingendo l’accordo come un cedimento ai guerriglieri. Il Sì viene dato in testa, ma i sondaggi sono discordanti sulla misura del vantaggio.
Mons. Castro è però fiducioso: “La Colombia ha sofferto 53 anni di guerra, ora siamo molto vicini alla pace. O meglio: siamo molto vicini a mettere fine alla guerra. Questo momento costituisce una gioia e una grazia grande. Per raggiungere il traguardo manca solo un passo: il referendum del 2 ottobre. La Colombia è di fronte ad un appuntamento con la storia, ad uno spartiacque tra il prima della pace e il dopo. Il Paese può iniziare a cambiare, a risolvere i suoi problemi”.

E tutto questo accade nell’anno della misericordia, non trova che si tratti di una coincidenza significativa?
Sì, in questo cammino bisogna dire che la misericordia ha un ruolo importantissimo. Le vittime di questa guerra sono state accompagnate dalle istituzioni, ma in particolar modo dalla Chiesa. Abbiamo avviato percorsi di perdono e riconciliazione. Le persone sopravvissute al conflitto possono iniziare una storia nuova. E chi esce dalla guerriglia è il Figliol prodigo che torna a casa. Va accolto e reinserito nella società per un cammino positivo.

O apriamo le porte, oppure queste persone rischiano di finire nella delinquenza comune o di tornare alla guerriglia.

La Chiesa non ha rivolto un invito esplicito a votare per il Sì, anche se in qualche occasione lei ha detto che questo non significa equidistanza. Ci può spiegare i motivi di questa scelta?

Voglio chiarire: noi non ci stiamo comportando come Ponzio Pilato, non ci stiamo lavando le mani di fronte a questo momento importante.

Tutt’altro. Noi vogliamo invitare tutti i cittadini colombiani a riflettere, a capire meglio, perché prendano coscienza sull’importanza di questo cammino di pace. È un discernimento importantissimo. Se noi dicessimo come votare, magari molti ci ascolterebbero, ma senza riflettere, senza capire. Noi invitiamo i colombiani ad andare a votare e speriamo in un voto “in coscienza”. E siamo ottimisti che il popolo capirà la posta in gioco.

Cosa pensa della parte dell’accordo che riguarda la giustizia transizionale?
La giustizia transizionale prevede, certo, una possibile riduzione delle pene per chi si è macchiato di alcuni crimini. Ma questo accade se le persone fanno verità. Bisogna sottolineare che

la giustizia transizionale non è impunità.

In tutto il mondo ci sono già stati ottanta casi in cui alla fine di un conflitto si è messa in atto una giustizia di questo tipo. In secondo luogo, va detto che ci saranno dei processi in cui le persone saranno giudicate da una corte speciale, il Tribunale della pace. I giudici non saranno di certo scelti dalla guerriglia, come qualcuno sostiene, ma sarà un Tribunale al più alto livello. Addirittura era stata rivolta una richiesta al Papa, perché indicasse dei nominativi che potessero fare parte del Tribunale. Nel Paese qualcuno pensa che i colpevoli debbano ricevere non riduzioni, ma il massimo della pena… Questa però è un’impostazione che nessuno accetterebbe dentro una trattativa di pace.

In Colombia è attivo un altro gruppo guerrigliero, l’Eln. Confida in un accordo anche in questo caso?
Siamo in un momento difficile. In una fase segreta erano stati definiti i punti di una trattativa da affrontare pubblicamente. Quando tutto sembrava pronto per cominciare, da parte dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) ci sono stati dei rapimenti, degli incidenti. Ma gli sforzi riservati per dare vita a una fase pubblica della trattativa proseguono e penso che nelle prossime settimane si saprà quando inizieranno i dialoghi per raggiungere la pace. Per ottenere ciò bisogna però lasciare da parte i grandi discorsi e deporre le armi.

La Colombia, dopo la fine della guerra attende la visita di papa Francesco…

Il Papa in diverse occasioni ha assicurato che verrà in Colombia il prossimo anno.

Noi abbiamo inviato un possibile programma rispetto al viaggio papale, che è al vaglio del Vaticano. Naturalmente accetteremo le indicazioni che verranno da loro. Noi avvieremo presto una fase di preparazione spirituale in vista dell’incontro con Francesco.