Accompagnare chi sbaglia

Col Vangelo di Matteo il percorso della correzione fraterna

C’interroga il brano del Vangelo di Matteo di questa domenica, perché mette in primo piano alcuni nostri difetti: primo fra tutti quella indifferenza che ci fa accettare come inevitabile tutta una serie di cose, non ultime le difficoltà che, nel mondo, vivono alcuni popoli. Il Papa pensa all’Ucraina, dove una fragile tregua è minacciata dalla violenza; o l’Iraq dove uomini e donne sono vittime di una violenza cieca che non risparmia nemmeno i bambini. Si dirà: che cosa possiamo fare, come possiamo dare il nostro contributo mentre accadono questi fatti? Proprio un anno fa Papa Francesco ha dato una risposta a questa domanda: la giornata di preghiera per la Siria. Mentre venti di guerra sembravano ormai destinati a non essere fermati, la veglia in piazza San Pietro la sera del 7 settembre 2013 ha cambiato le sorti del conflitto annunciato. La forza della preghiera, dunque, come risposta contro una indifferenza che sembra accompagnare la nostra esistenza. Don Lorenzo Milani per la sua scuola di Barbiana aveva adottato un motto: “I care”, cioè mi interessa, mi sta a cuore. Come dire: non c’è posto per l’indifferenza.

In questa indifferenza rientra anche un altro aspetto legato alla nostra vita: il buonismo, il perdono generalizzato. Accade qualcosa e lasciamo correre, evitiamo di prendere posizione, ci va bene così; o come sentiamo dire: “Non cerchiamo rogne”.

E come la mettiamo, allora, con il passo di Matteo che ci parla della correzione fraterna? Cioè con quel prendersi cura dell’altro aiutandolo a correggere l’errore commesso. Amare i fratelli, infatti, non significa accettare i capricci, ignorare i rischi delle scelte sbagliate. La correzione fraterna ha bisogno di una modalità precisa, che Papa Francesco, all’Angelus, evidenzia così: “Gesù c’insegna che se il mio fratello cristiano commette una colpa contro di me, mi offende, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, spiegandogli che ciò che ha detto o ha fatto non è buono. E se il fratello non mi ascolta? Gesù suggerisce un progressivo intervento: prima, ritorna a parlargli con altre due o tre persone, perché sia più consapevole dello sbaglio che ha fatto; se, nonostante questo, non accoglie l’esortazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire la frattura e il distacco che lui stesso ha provocato, facendo venir meno la comunione con i fratelli nella fede”.

Fermiamoci a riflettere su questo progressivo approccio per aiutare l’altro a capire l’errore, la scelta sbagliata. Perché come diceva Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta, il 13 aprile dello scorso anno, i problemi non si risolvono se ci si limita a dire non mi interessa, “a me non piace” e si va avanti con le chiacchiere: queste fanno male, soprattutto poi se sono calunnie. L’atteggiamento del cristiano è di delicatezza, prudenza, umiltà e attenzione nei confronti del fratello, “evitando che le parole possano ferire e uccidere il fratello”. Perché anche le parole uccidono: “Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io ‘spello’ un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro. Anche le parole uccidono”. La calunnia. A Santa Marta ricordava: distrugge l’opera di Dio perché nasce dall’odio è figlia del padre della menzogna e vuole annientare l’uomo allontanandolo da Dio. Ecco, dunque, l’esigenza di non mettere in piazza le colpe dell’altro; il primo passo è discrezione, parlargli a quattr’occhi per “non mortificare inutilmente il peccatore”. Gli altri interventi hanno proprio lo scopo di aiutare la persona a comprendere i propri errori, aiutarlo a capire che “con la sua colpa ha offeso non solo uno, ma tutti. Ma anche di aiutare noi a liberarci dall’ira o dal risentimento, che fanno solo male: quell’amarezza del cuore che porta l’ira e il risentimento e che ci portano a insultare e ad aggredire. È molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione”. E aggiunge: “Insultare non è cristiano. Davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono”.