Abolizione delle Province? Occasione per i territori!

Non solo una questione di costi della politica. È in gioco, piuttosto, come ci chiede l’Europa, di garantire una governabilità multi-livello, attraverso l’interazione tra i diversi piani, comunale, sovra-comunale, ovvero di “area vasta” e regionale, oltre che evidentemente statale e comunitario.

Si riparla dell’abolizione delle Province. Questione complessa, che presenta (almeno) due aspetti, tra loro collegati, ma anche contraddittori. Da un lato c’è la necessità di tagliare costi e apparati della politica, su cui molto si è detto, ma poco si è fatto. Dall’altro c’è il tema, non meno importante ed in prospettiva ancora più strategico, dell’articolazione delle forme di rappresentanza e dei livelli amministrativi, in sintesi degli “orizzonti di cittadinanza” e dell’organizzazione del territorio.

L’idea di abolire le Province, come enti locali, dotati di rappresentanza elettiva, era stata nientemeno che dei costituenti. La prima stesura della nostra Carta, formalizzata nel maggio 1947, non ne faceva menzione. Istituire le Regioni comportava – si disse – abolire le Province. Di fronte alle tante proteste l’assemblea costituente tornò sulla decisione nel testo finale, approvato nel dicembre 1947. Da allora il numero delle Province aumenta progressivamente, anche per ragioni identitarie. Per questo è molto difficile razionalizzarne numero e dimensioni, come provò senza successo il governo Monti. Forse più facile abolirle tout court, come si è impegnato a fare il governo Letta, che ha appena approvato “uno schema di disegno di legge costituzionale per l’abolizione delle Province, che sarà sottoposto al parere della Conferenza unificata”. Di conseguenza “sulla base di criteri e requisiti definiti con legge dello Stato sono individuate dallo Stato e dalle Regioni le forme e le modalità di esercizio delle relative funzioni”.

I tempi non saranno brevi ed è difficile fare previsioni. In ogni caso, al di là del dibattito Province sì – Province no, la posta in gioco, che è nell’agenda Europa 2020, cioè rappresenta uno dei grandi temi strutturali su cui è impegnata anche l’Unione europea, è la definizione dei livelli di aggregazione territoriale. Si tratta di una posta tanto più importante in quanto ormai la visione non è più quella di una gerarchia di enti, ma di una governabilità multi-livello, attraverso l’interazione tra i diversi piani, comunale, sovra-comunale, ovvero di “area vasta” e regionale, oltre che evidentemente statale e comunitario.

È ormai del tutto anacronistico vedere la gestione territoriale come dualistica, il locale e il centrale. Eppure prima o poi bisognerà trovare il coraggio di attuare un ridisegno funzionale, superando vecchie incrostazioni e condizionamenti: non fosse altro appunto per le sempre più impellenti ragioni di economia e di efficienza.

Questo però comporta creare una vera occasione costituente, fare esprimere il territorio, gli interessi, le esigenze, le risorse, i giacimenti culturali e identitari, connettendoli con i livelli nazionale e comunitario. Guardando al futuro e non solo al passato. E decidere.

Intervenire sulla Province perciò necessariamente significa intervenire sulle Regioni e sui Comuni, sulla loro taglia, sulle loro competenze, ragionare insomma sul territorio, la sua articolazione e la sua rappresentanza: una grande risorsa dell’Italia, da maneggiare con cura, ma anche con coraggio e creatività.