Nido di Ana: a Rieti protezione e ascolto per le donne in difficoltà

Il tema della violenza sulle donne non accenna ad uscire alla cronaca. Le notizie su questo male sociale si susseguono e tengono accesa la luce su una condizione che, nel nostro paese, in diversi modi, tocca quasi sette milioni di persone

Oltre cento donne in Italia, ogni anno, vengono uccise da uomini, quasi sempre quelli che sostengono di amarle. È una vera e propria strage. Ai femminicidi si aggiungono violenze quotidiane che se non fermate in tempo corrono il forte rischio di degenerare: sono infatti migliaia le donne molestate, perseguitate, aggredite, picchiate, sfregiate, oppure vittime di violenze psicologiche tra le mura domestiche. Quasi 7 milioni, secondo i dati Istat, quelle che nel corso della propria vita hanno subito una forma di abuso. Fino ad arrivare ai casi di cronaca più agghiaccianti, come quello di Noemi, Jessica, Pamela, e dell’intera famiglia sterminata dal carabiniere di Cisterna: episodi che fanno discutere, preoccupare, allarmare.

Ne abbiamo parlato con le responsabili de “Il nido di Ana”, sportello antiviolenza nato a Rieti nel 2013 come centro di accoglienza per donne e bambini abusati. «Negli ultimi mesi del 2017 e nei primi mesi del 2018 il numero delle donne registrate è raddoppiato, ma questo non vuol dire che i casi di violenza siano aumentati, semplicemente c’è una maggior consapevolezza che le donne possono chiedere aiuto e riceverlo», racconta Serena, una delle professioniste che gestiscono il centro. Psicologhe, sociologhe, avvocati e molte altre figure professionali specializzate forniscono a donne e bambini in difficoltà la possibilità di una dimora protetta, un alloggio gratuito compreso in un percorso individuale per ogni vittima.

Negli anni lo sportello si è posto come punto di riferimento per tutte le donne che hanno voluto avvalersi di un aiuto professionale e concreto per uscire da meccanismi talvolta annosi e che hanno loro impedito di vivere un’esistenza serena e appagata. Anche la scelta del nome dato all’associazione, racconta Serena, non è affatto casuale «Ana infatti è un nome molto comune nell’Europa dell’Est, dove la donna è ancora considerata il “sesso debole”, e molto spesso soggetta a sottomissioni e privazioni, condizione che la porta a essere relegata a ruoli quasi esclusivamente domestici».

Nel 2016 “Il Nido di Ana” è diventato a tutti gli effetti un centro di ascolto e accoglienza. Tra le finalità, un monitoraggio condiviso tra i vari attori per l’elaborazione di strategie di prevenzione e di lotta contro ogni forma di violenza e discriminazione: «lavoriamo per favorire l’emersione del problema nell’ambito della Provincia di Rieti e sollecitare una presa di coscienza da parte di tutta l’opinione pubblica, vogliamo stimolare la riflessione sulle varie distorsioni dell’immagine femminile». L’attività dello sportello fornisce aiuto alle donne da parte di donne, in una sorta di aiuto di genere reciproco, solidale e fattivo. Nel rispetto della privacy e della riservatezza, l’equipe fornisce gli strumenti per superare i tabù che purtroppo ancora si aggirano intorno alla violenza di genere, in taluni casi coperta e celata per vergogna o ignoranza anche da componenti della stessa famiglia. Dunque, dall’ascolto empatico alla psicoterapia, attraverso percorsi di elaborazione del trauma, valutazioni delle conseguenze psicologiche ed eventuale sostegno legale, le professioniste de “Il nido di Ana” accompagnano la vittima per tutto il difficile iter che la porterà a condurre finalmente una vita libera e serena.

A Rieti, dal 2011 a oggi, sono state accolte circa cento donne, per 45 delle quali sono stati avviati percorsi continuativi, e per 6 un iter di messa in sicurezza. Serena consiglia «di fornire più educazione affettiva possibile nelle scuole, per comprendere fin da piccoli che alla base di una relazione affettiva c’è prima di tutto il rispetto dell’altro, che va considerato al nostro pari: non ci sono tipologie di violenze, qualsiasi tipo di violenza non è mai giustificabile».

Proprio l’abbattimento dei pregiudizi che ruotano intorno ad abusi considerati più o meno gravi è un altro obiettivo dell’associazione: «lavoriamo per abbattere ogni pregiudizio e spiegare alle donne che alcuni comportamenti, ad esempio la gelosia morbosa, non sono frutto di forte amore ma solamente di desiderio di possesso, come se la donna fosse un oggetto». È necessario dunque superare gli stereotipi e far sì che già le bambine comprendano la consapevolezza delle proprie potenzialità, attraverso autodeterminazione e libera espressione. «Noi ci limitiamo a dare un aiuto – spiega Serena – ma è la donna alla fine che decide cosa vuole fare, non decidiamo per lei, non consigliamo cosa è meglio fare, l’ascoltiamo e cerchiamo di fornire gli strumenti giusti valutando anche l’eventuale rischio della sua situazione: poi sarà lei a decidere se tornare da noi o sporgere denuncia, separarsi o meno, tutto varia naturalmente in base alla situazione personale di ognuna».

Tanti i casi risolti e tante le storie passate attraverso lo sportello, ognuna diversa, ognuna sofferta: «ricordo il caso di una donna che l’anno scorso è riuscita a scappare dal suo compagno violento, a mettersi in salvo e a chiamare i Carabinieri, era davvero a rischio della propria vita. L’abbiamo recuperata dalla caserma, presa personalmente in carico, e messa in sicurezza gratuitamente. Era scappata da un Paese straniero, per cui non registrata e di fatto totalmente “invisibile”: successivamente ci è arrivata una lettera di ringraziamento dal Consolato». Negli occhi di Serena, in questa storia c’è la motivazione ad andare avanti e proseguire il proprio lavoro con forza e senza paura: «una forza che ci viene data proprio dal riscontro che vediamo nelle donne che abbiamo aiutato: è per questo che continueremo sempre a lottare per contrastare la violenza. Sono convinta che le donne ce la possano fare, dalla spirale si può uscire e tornare finalmente a vivere».

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