A Reggio Calabria il cimitero dei migranti diventerà luogo-simbolo delle vittime del mare

La Caritas di Reggio Calabria-Bova lancia l'idea di ristrutturare il piccolo cimitero di Armo, dove sono sepolti 80 migranti morti durante la traversata nel Mediterraneo, tra cui donne e bambini molto piccoli. Le Caritas diocesane sono invitate a contribuire perché diventi un luogo educativo per ricordare le oltre 31.100 vittime del mare. Stasera ci sarà una commemorazione con i partecipanti al Coordinamento immigrazione di Caritas italiana.

Un cimitero dei migranti a Reggio Calabria, che diventi luogo simbolico ed educativo per tutta la comunità. Con tombe curate e lapidi con i nomi e i simboli delle varie religioni di appartenenza. Con un monumento che ricordi la Porta d’Europa a Lampedusa ma rappresenti invece una porta spezzata, a ricordare tutti coloro che non ce l’hanno fatta ad attraversare il Mediterraneo.

Come i due naufragi dei giorni scorsi, uno nell’Egeo con 9 migranti morti, tra cui 6 bambini, l’altro al largo della Tunisia, 48 corpi senza vita ripescati finora. Sono oltre 31.100 le vittime del mare dal 1988 ad oggi, incrociando vari dati. È l’iniziativa lanciata dalla Caritas diocesana di Reggio Calabria-Bova, che propone alle Caritas diocesane di tutta Italia di contribuire ai lavori di ristrutturazione del cimitero.

«Sarebbe bello inaugurarlo a novembre, nelle giornate della commemorazione dei defunti», anticipa al Sir don Nino Pangallo, direttore della Caritas di Reggio Calabria-Bova. Proprio oggi pomeriggio, nel piccolo cimitero di Armo, un paesino alla periferia del capoluogo calabro, dove sono sepolti 80 migranti, i partecipanti al Coordinamento nazionale immigrazione promosso da Caritas italiana terranno una commemorazione delle vittime del mare.

Sarà una cerimonia semplice, con la testimonianza di una sopravvissuta ad un naufragio, che ha nel cimitero alcuni familiari. Un gruppo di profughi canteranno gospel e canti tradizionali. Ci sarà un pensiero della comunità islamica e della Caritas italiana e sarà posta una corona di fiori simbolica nella tomba più significativa, quella di una mamma con il figlio di pochi mesi. Durante il periodo degli sbarchi la Caritas di Reggio Calabria-Bova ha accolto una novantina di minori non accompagnati, ora è rimasta aperta solo una comunità.

Un luogo di riferimento per volontari e scuole. Il piccolo cimitero di Reggio Calabria ha visto arrivare in pochi giorni molte vittime del mare: il 26 maggio 2016 ben 45 salme, tra cui donne che avevano appena partorito e bambini molto piccoli.

«Negli anni è diventato, in maniera spontanea, un luogo di riferimento per i volontari, le scuole, gli scout», spiega don Pangallo.

«È un simbolo del percorso non compiuto di chi ha affrontato il viaggio». La Caritas diocesana accoglie ancora uno dei bambini di quel naufragio, rimasto orfano della giovane madre. «Potrebbe diventare un’opera-segno simbolica per tutta la rete Caritas italiana e per tutti coloro che sono impegnati nell’accoglienza dei migranti – precisa -. Perché la priorità per la Caritas è sempre l’educazione, quindi dovrebbe mandare un messaggio chiaro».

«Vorremmo curare meglio le tombe dei migranti, coinvolgendo le Caritas diocesane per aiutare l’amministrazione comunale nella spesa. Dobbiamo reperire almeno 100.000 euro».

Al momento ci sono 80 tombe. Tra le vittime ci sono cristiani copti egiziani, un nepalese, alcuni musulmani e persone sconosciute. “Le tombe non sono trascurate perché la gente del posto è molto attenta – puntualizza il direttore della Caritas di Reggio Calabria -. Ma sono semplicemente interrate senza nessun segno. Noi vorremmo curare tutte le sepolture magari con una piccola lapide con i vari simboli – cristiani, musulmani, ecc. – e con un simbolo per gli sconosciuti. Vorremmo mettere un po’ di brecciolino e qualche bordo per ogni singola sepoltura e creare uno spazio dove far incontrare la gente”. Il progetto prevede anche la realizzazione di un piccolo monumento che richiami la porta di Lampedusa.

«Mentre a Lampedusa è una porta compiuta perché le persone ce l’hanno fatta, noi vorremmo mettere una porta spezzata per chi non è riuscito – dice -. Con un richiamo cristiano e interreligioso in più lingue ad un passo biblico della Genesi dove Abramo seppellisce Sara accolto dagli Ittiti».

«Ci sembra molto bello coniugare le due opere di misericordia: accogliere lo straniero e seppellire i morti».

«Mostrare il luogo della sepoltura di chi non ce l’ha fatta – sostiene don Pangallo – può essere molto forte dal punto di vista educativo, soprattutto nell’attuale congiuntura politica in cui non riusciamo ancora a capire che prospettive ci saranno rispetto all’accoglienza dei migranti».