Meeting dei Giovani 2020

A Leonessa è “tempo” di Meeting dei Giovani: conclusa la prima giornata di lavori

Si è conclusa a Leonessa la prima giornata di lavori del Me We 2020, evento organizzato dalla Pastorale Giovanile della diocesi di Rieti: quest'anno si discute con i ragazzi sul loro rapporto con il tempo

Piccolo palchetto, maxischermo e amplificazione: tutto pronto nel palazzetto dello sport di Leonessa che ospita i lavori del “Me We” 2020. I partecipanti sono seduti ai loro posti, quando il microfono si accende per Francesco e Maria Chiara: coppia collaudatissima, a partire dal primo meeting (quello di Greccio nel 2016, che si concluse con la visita a sorpresa di papa Francesco), come conduttori dell’incontro organizzato dalla Pastorale Giovanile della diocesi di Rieti.

Subito invitano al “salottino” i due ospiti di questo primo pomeriggio: Eraldo Affinati e Alessandra Bialetti. Da loro le prime “punzecchiature” ai giovani sul loro rapporto col tempo. Quello che la dottoressa Bialetti declina subito con i riferimenti di origine mitologica alle due accezioni con cui già gli antichi lo qualificavano: tempo “Krònos”, divinità che divora i suoi figli, quello per cui, dice la pedagogista, «divoriamo ciò che noi stessi generiamo», e tempo invece “Kairòs”, «nella mitologia ragazzo giovane che tiene in mano una bilancia e decide lui l’equilibrio».

Ecco, siamo chiamati proprio «a vivere questo tempo con la lente della qualità e non della quantità».

La riflessione cui Alessandra invita i giovani è proprio questa: come gestiamo i due “tipi” di tempo? Ci lasciamo divorare dal tempo o lo viviamo come tempo “di grazia”? Lo slogan scelto per il primo giorno del meeting è “Tieni il tempo”: «aggiungere un “ti”, “tieniti il tempo”, riempi il tuo tempo, stai sul pezzo…stare sul pezzo è la vostra vita».

Vita che «non è un tour organizzato, in cui devi sbrigarti a tornare sul pullman, senza possibilità di cogliere il nostro sguardo, ciò che la nostra esperienza ci fa vedere, e si torna a casa tutti con le stesse foto! La vita non è questo. Gesù stesso non è quello del tempo organizzato. Lui è per eccellenza il Dio del fuori tempo».

Altra metafora proposta: «il tempo del salmone: va controcorrente, non vede le cose che vedono gli altri, fa una gran fatica, ma quanto fascino c’è nell’andare controcorrente! Anche Gesù stesso non è stato Gesù dell’omologazione, perché la chiamata è singola, secondo i tempi e le caratteristiche di ciascuno».

Un tempo “di grazia”, continua, deve essere calmo, richiede di fermarci. «Chiediamoci: cosa accade se mi fermo? Se mi fermo mi connetto, entro dentro di me, vedo cose che mi piacciono e non mi piacciono e devo mettermi in discussione, allora meglio mettersi a correre: ma così non colgo il progetto! È allora tempo della calma, della contemplazione, di uno sguardo che si ferma».

Ed è anche «il tempo dello stop alle dipendenze, qualsiasi esse siano, per inaugurare il tempo dell’indipendenza, di essere autonomi, indipendenti nelle nostre scelte». Il tempo «dell’originalità, libero e liberato: liberato da tutto quello che non è progettualità, che non è prendere in mano la propria vita, non essere protagonisti».

Capace di mettere ordine nella propria vita, non necessariamente pretendendo di aggiustare tutto, ma in qualche caso facendo scelte radicali: «Spesso non riusciamo a districare la matassa, ma ci abbiamo mai pensato che va tagliato il filo? Cerchiamo spesso di rivitalizzare qualcosa che forse invece lasciato: tempo per decidere nel recidere, nel tagliare cose che non ci fanno bene e ci portiamo dietro per noia, per abitudine». E invita Francesco a indossare un suo vecchio maglione, che ovviamente a lui non va bene… Un giochino per lanciare un messaggio: «Non siamo maglioni di seconda mano, perché esso si è sformato con la mia vita, non va bene per Francesco». Ognuno ha la sua storia e ognuno è chiamato a mettersi in gioco. «Gesù dice “venite e vedrete”, vuole che facciamo l’esperienza, non che la facciamo raccontare».

E sull’importanza di cercare il “proprio” tempo rilancia anche Affinati. Al suo “Elogio del ripetente” aveva fatto riferimento Alessandra, citando Giulio, uno degli alunni “difficili” ma originali raccontati dall’insegnante-scrittore romano in quel libro. Lo ricorda bene, il prof che ha passato gran parte della sua vita a educare alunni “fuori dagli schemi”: Giulio «arrivava sempre in ritardo, era sempre fuori tempo. E da quella mancata sincronia comincerei a fare una riflessione che è soprattutto un’esperienza. Giulio faceva un uso scorretto del tempo, sempre in ritardo, sempre distratto, però se fossi intervenuto su di lui come educatore semplicemente richiamandolo al rispetto del tempo forse avrei sbagliato, perché in quella mancata sincronia c’era la sua originalità di adolescente. Mi sono allora avvicinato a lui fuori tempo, nella ricreazione, non nel momento canonico dell’insegnante, uscendo dalla mia posizione istituzionale di insegnante, e questo creò in lui un bel disorientamento, una bella sorpresa. Lo invitai a venire alla “Penny Wirton” come volontario a insegnare con noi: ed è venuto per un anno intero tutti i pomeriggi a insegnare ai suoi coetanei immigrati. Questo mi colpì, in lui c’era una risorsa di creatività che a scuola non veniva utilizzata, e poi sentii che il mio intervento era stato efficace, un intervento fuori dagli schemi, fuori dalle categorie degli orari tradizionali».

Proprio nell’insegnamento, e nell’insegnamento a questi casi così “fuori dagli schemi”, Affinati ha trovato una risposta all’uso del tempo. «Credo che i ragazzi immigrati di oggi possono essere considerati i “ragazzi di Barbiana” di oggi, con gli stessi problemi di espressione linguistica che trovava don Milani a Barbiana».

Le scuole Penny Wirton, spiega, sono basati «sul rapporto uno a uno, sull’incontro personale tra il volontario e l’immigrato». Ecco l’importanza di un tempo donato in un incontro personale. I volontari che svolgono servizio in queste scuole «lavorano a fondo perduto: non bisogna pensare al risultato, perché se pensi solo a un risultato rischi di fallire nel momento in cui non vedi i riscontri immediati di questa azione». E invece va svolto tutto pensando alla responsabilità di ciò che si compie.

«La responsabilità non può essere settoriale, non può essere il mansionario giuridico: i carnefici di Auschwitz dissero di aver eseguito gli ordini. Dobbiamo assumerci la responsabilità dello sguardo altrui, che viene prima della legge, prima del mansionario: ci viene chiesto di più, non basta aver eseguito gli ordini, non basta aver eseguito bene il proprio lavoro, se vedi l’oltraggio di un principio in cui credi devi intervenire, non puoi passare indifferente».

E allora il tempo non sarà sprecato.