90. “Caritas in Veritate”. Le nuove prospettive di dialogo interculturale

Le nuove prospettive di dialogo interculturale promettono un nuovo orizzonte di vita a cui l’umanità può aspirare. Solo a partire dall’intima consapevolezza della specifica identità dei vari interlocutori, è possibile costruire e percorrere la strada che condurrà ad un futuro in cui l’equità potrà avere sicura cittadinanza.

La “Caritas in Veritate” ripercorre alcune importanti considerazioni del magistero di Papa Paolo VI al fine di poterle aggiornare, in un mondo diverso, e per molti aspetti lontano, da quello che invece interpella e chiede interpretazione alla Chiesa di Papa Benedetto XVI. I tentativi di omogeneizzazione comunque presenti al tempo dell’importante predecessore dell’attuale Pontefice, non possedevano quella forza e quell’articolazione necessaria per giungere a mettere in discussione la solidità di impianti e sistemi culturali di millenaria sopravvivenza.

Oggi è tutto diverso, luci e ombre si affacciano all’orizzonte, soprattutto se si affronta la questione dall’inquietante punto di vista della dilagante mercificazione globale, senza regole certe e condivise. Secondo il Papa è duplice il pericolo che da questa drammatica pratica può discendere: da una parte l’affermazione di un relativismo culturale che non stimola il “vero dialogo” tra culture, questo perché, accostare le culture come se fossero sostanzialmente equivalenti, conduce ad un eclettismo culturale che non favorisce il confronto e quindi la crescita. «il relativismo culturale fa sì che i gruppi culturali si accostino o convivano ma separati, senza dialogo autentico e, quindi, senza vera integrazione». (n. 26).

L’appiattimento culturale e l’omologazione dei comportamenti e degli stili di vita che costituisce l’altro pericolo del mercato senza regole in un mondo globalizzato. «In questo modo viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni, delle tradizioni dei vari popoli, entro le quali la persona si misura con le domande fondamentali dell’esistenza».

La prima indicazione che nell’Enciclica il Papa riporta è densa di implicazioni: «Eclettismo e appiattimento culturale convergono nella separazione della cultura dalla natura umana», un altro modo per affermare che l’uomo in tal modo è ridotto al solo dato culturale perdendo di vista la natura a cui appartiene e tutta la sua capacità di trascenderlo. Manipolazione e asservimento sono le dirette conseguenze di questi due rischi e i paesi poveri sono i primi ad essere colpiti da questa tragica dinamica, che si manifesta nell’estrema insicurezza di vita e nella carenza di alimentazione. Nell’era della globalizzazione è sempre più delicato costruire e mantenere la pace, ma sarebbe più facile perseguire questo obiettivo proprio se la fame fosse eliminata dalla faccia del pianeta.

L’indicazione è ancora una volta assai precisa: sono le istituzioni economiche le vere responsabili di questo perverso equilibrio e solo esse possono davvero rimetterlo in discussione. Si tratta di agire tenendo ben presente quell’imperativo etico che le forze economiche puntualmente disattendono, manifestando così la loro evidente irresponsabilità.

La Chiesa, da sempre, ribadisce invece proprio questo punto di riferimento come l’unico in grado di prevenire le crisi economiche. Coinvolgere le comunità locali nel costruire il proprio futuro, nell’incentivare, scoprire e favorire lo sviluppo delle proprie risorse, è la strada per garantire la sostenibilità dei paesi poveri nel lungo periodo. Ecco quindi la terza, semplice, quasi ovvia, indicazione: «Tutto ciò va realizzato coinvolgendo le comunità locali nelle scelte e nelle decisioni relative all’uso della terra coltivabile. In tale prospettiva, potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell’ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate».

In un mondo globalizzato ciò non solo è facile ma è quasi banale realizzarlo, ma a quanto pare è più “interessante” portare un distributore di una famosa bibita in piena Africa equatoriale piuttosto che cimentarsi in queste “ridicole”, “difficilissime” e “complicate” sfide tecniche.