88. “Caritas in Veritate”. Il fedele non può esimersi dall’interrogarsi

È cronaca di questi giorni il richiamo di Benedetto XVI all’attenzione che l’uomo deve avere nei confronti del pianeta sul quale tutti abitiamo. Il tema è spesso ripreso nella “Caritas in Veritate”. Il fedele non può esimersi dall’interrogarsi ed è messo davanti ad un’evidenza indiscutibile: lasciare che la propria fede venga provocata da quest’esigenza e responsabilità morale tanto nuova quanto importante, curare il giardino che il Signore ha donato all’umanità.

Leggendo l’Enciclica con gli occhi di oggi è possibile rintracciare autentici spunti profetici: la crisi economica e il mancato rispetto per il pianeta sono due aspetti inscindibili, due piani che però devono e possono trovare una sintesi in quell’attenzione allo sviluppo umano integrale che chiama in causa un nuovo slancio umanistico nel quale la crisi diventa «occasione di discernimento e di nuova progettualità».

Un modo diverso per pensare alla vita che chiama in causa la costruzione di un futuro possibile mettendo al centro l’uomo, non il profitto, la sua spiritualità, non la fede in un materialismo vuoto e, soprattutto, mettendo al centro il suo rapporto con il pianeta nel rispetto delle altre forme viventi e delle future generazioni. Una nuova sintesi umanistica che si liberi degli errori del passato e costruisca le esperienze positive che il passato stesso veicola. Il Papa a questo proposito è chiaro: il quadro sul quale occorre riflettere è decisamente cambiato rispetto al passato, esso è policentrico. Sviluppo e sottosviluppo hanno cause molteplici, colpe e meriti sono differenziati.

Le ideologie ormai non riescono ad esaminare i problemi con quella necessaria obiettività e realismo che inducono ad aggiornare interventi e metodi di riflessione sui problemi umani. Poveri e ricchi non sono più così chiaramente definiti come si poteva rilevare 50 o 60 anni fa. Lo scandalo clamoroso delle disuguaglianze continua negli stessi paesi una volta considerati poveri e prende le forme più diverse: dallo sfruttamento della mano d’opera al mancato rispetto dei diritti umani, dalla diffusa corruzione e illegalità, all’incomprensibile chiusura culturale di interi popoli che allontanano gli individui da una crescita basata sul confronto e il dialogo, per non parlare delle forme di eccessiva protezione della conoscenza legata alla proprietà intellettuale, che risulta essere una perversione terribile quando si manifesta in campo sanitario.

Eppure lo sviluppo deve andare avanti e ciò comporta sfide e martiri, sofferenze che forse si sarebbero potute evitare perché, dopo il crollo dei blocchi contrapposti (Usa e Urss), «sarebbe stato necessario un complessivo ripensamento dello sviluppo. Lo aveva chiesto Giovanni Paolo II. Nel 1987 aveva indicato l’esistenza di questi “blocchi” come una delle principali cause del sottosviluppo, perché la politica sottraeva risorse all’economia e alla cultura e l’ideologia inibiva la libertà. Nel 1991 egli chiese anche che, alla fine dei “blocchi”, corrispondesse una riprogettazione globale dello sviluppo, non solo in quei Paesi, ma anche in Occidente e in quelle parti del mondo che andavano evolvendosi.

Questo è avvenuto solo in parte e continua ad essere un reale dovere al quale occorre dare soddisfazione, magari profittando proprio delle scelte necessarie a superare gli attuali problemi economici». Parole importanti che ancora una volta qualificano e confermano la funzione di guida e riferimento della Dottrina Sociale della Chiesa, troppe volte proclamata da “politici cattolici doc”, troppe volte dimenticata e disattesa dagli stessi politici.