74. “Deus caritas est”. Il profilo specifico dell’attività caritativa della Chiesa

Il programma del cristiano è il programma del buon Samaritano, è un cuore che vede l’uomo che ha bisogno di amore e agisce in modo conseguente. «Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore».

Quali sono gli elementi costitutivi che formano l’essenza della carità cristiana ed ecclesiale? Questa la domanda che papa Benedetto XVI pone al n. 31 dell’Enciclica “Deus caritas est”. Se infatti la solidarietà umana, che si manifesta in molteplici e svariate forme in ogni tempo e luogo, si spiega a causa del fatto «(…) che l’imperativo dell’amore del prossimo è iscritto dal Creatore nella stessa natura dell’uomo», il ruolo del cristianesimo risulta però essere determinante per risvegliare e rendere efficace questo imperativo.

La storia insegna che la forza del messaggio evangelico si espande ben oltre «(…) le frontiere della fede cristiana» e l’attività principe della Chiesa, quella caritativa, non può dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, come se ne fosse una semplice variante, perché tale attività possiede delle connotazioni peculiari che occorre afferrare e chiarire. Il Papa si serve del modello presente nella parabola del buon Samaritano per sviluppare questo aspetto. La prima interpretazione proposta riguarda la risposta immediata che ogni uomo esprime una volta colto il bisogno nell’altro.

La fede cristiana è quindi prima di tutto semplice risposta a ciò che costituisce un’immediata necessità. In questa direzione l’Enciclica sottolinea che «Le Organizzazioni caritative della Chiesa, a cominciare da quelle della Caritas (diocesana, nazionale, internazionale), devono fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti». Le strutture non possono però raggiungere l’obiettivo che si pongono, se accanto all’amore gratuito non viene posta la necessaria competenza professionale. Affidandosi solo alla correttezza tecnica dell’intervento si perde di vista la componente essenziale di coloro che ricevono l’intervento stesso, la loro umanità.

C’è bisogno dell’attenzione del cuore. Per questo il Papa sottolinea che «Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità». Si tratta di qualificare non solo la preparazione professionale ma anche la «formazione del cuore», occorre cioè condurre il sofferente e il bisognoso all’incontro con l’amore, con Dio stesso. L’ultimo e fondamentale elemento dell’attività caritativa della Chiesa riguarda il fatto che questa «(…) deve essere indipendente da partiti ed ideologie», non è infatti al servizio di ideologie o strategie mondane.

Interessante la riflessione posta nell’Enciclica in merito al marxismo. Questa filosofia afferma che le iniziative di carità indeboliscono il potenziale rivoluzionario perché si mettono a servizio del sistema stesso che genera ingiustizie facendolo passare per sopportabile, frenando, in definitiva, lo sviluppo di forze sociali tese a generare un mondo migliore. «Perciò la carità viene contestata ed attaccata come sistema di conservazione dello status quo. (…) In verità, l’umanizzazione del mondo non può essere promossa rinunciando, per il momento, a comportarsi in modo umano. Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona, con passione e ovunque ce ne sia la possibilità, indipendentemente da strategie e programmi di partito».

La carità non solo quindi non può aspettare ma, sottolinea il Papa, non deve neanche essere finalizzata a scopi di proselitismo, essa è amore gratuito che non può essere esercitato per raggiungere altri scopi. «(…) questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. (…) Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore».