71. “Deus caritas est”. «Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo»

L’amore deve permeare qualsiasi società, pena l’autoreferenzialità della politica e l’affermazione di una ragione che rischia di essere accecata dal potere e dagli interessi di parte.

L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe «di solo pane» (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) – convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano. (…) L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore.
Benedetto XVI, Deus caritas est

Giustizia e carità sono i due aspetti che Papa Benedetto XVI prende in considerazione nell’Enciclica “Deus caritas est” quando sviluppa la particolare sensibilità che la Chiesa possiede in ordine ai temi sociali. Due sono le situazioni di fatto che occorre chiarire affinché tale rapporto possa essere adeguatamente compreso. Da una parte, come già ripreso nel precedente articolo della presente rubrica, «Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri (…)» (n. 28).

Da ciò si deduce che la politica non si riduce ad una semplice tecnica «(…) per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica». A partire da ciò, risulta evidente che coloro che amministrano la “cosa pubblica”, i servitori dello Stato, si trovano inevitabilmente di fronte ad un interrogativo di fondo: «(…) come realizzare la giustizia qui ed ora?», soprattutto, che cosa è la giustizia? La ragione certamente guida l’uomo in questa delicata ricerca ma, afferma il Papa, essa rischia di essere offuscata, accecata dall’interesse e dal potere. Occorre una sorta di purificazione, un riferimento “altro” che sostenga un processo scevro da elementi che spingono verso l’autoreferenzialità. «In questo punto politica e fede si toccano (…) è una forza (la fede) purificatrice per la ragione stessa». Il riferimento, a questo punto, diventa il valore e il peso che il diritto naturale possiede nell’ambito di ogni percorso di riflessione legato all’amministrazione e gestione dei processi sociali.

L’altra “situazione di fatto” che il Pontefice presenta riguarda la “caritas”, l’amore, sempre necessario «(…) anche nella società più giusta». Il messaggio è chiarissimo: non ci si può liberare dell’attenzione all’amore, alle necessità dell’altro riconosciuto come un “noi stesso”, il servizio al prossimo nel segno della dimensione fraterna è imprescindibile. Affidare quindi alla politica le sorti dell’umanità pensando che la ragione possa risolvere ogni problematica, credendo che l’amore possa rimanere fuori dalle stanze del potere, secondo l’Enciclica, è un gioco pericoloso, certamente non in grado di garantire quell’obiettività che la dignità umana richiede.

Troppe volte si banalizza su questo aspetto, credendo, dimenticando il comune anelito all’amore fraterno, di fare un’operazione intellettualmente corretta ed “elevata”. L’amore non è una banalità, trova spazio in ogni esperienza umana, quando si cerca di celarlo o soffocarlo, l’umanità si ritrova sopra il baratro dell’autodistruzione. Al polo opposto si situa un altro atteggiamento altrettanto problematico, quello di uno Stato che crede di poter provvedere a tutto, annullando quindi l’effetto e l’efficacia di una dedizione personale e individuale che crede non necessaria. Se quindi, secondo il Papa, «Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo», è anche vero che «Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale».

L’Enciclica sostiene un’idea di Stato che non deve regolare e dominare tutto ciò che occorre all’uomo, ma che «(…) generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali (…) La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale».