58. “Evangelium Vitae”. Nella precarietà dell’esistenza umana Gesù porta a compimento il senso della vita

Quando si pensa a Gesù è facile riferirsi ad una realtà umana che, per quanto terrena e profondamente incarnata nella storia, rimane in qualche modo interpretata come distaccata dalle reali vicissitudini che ogni uomo affronta quotidianamente. Il sangue che ha sparso sulla croce è però certo e concreto. Papa Giovanni Paolo II conduce, al capitolo 2 dell’Evagelium Vitae, un’interessante riflessione tesa a sottolineare quanto l’umanità di Gesù sia invece integralmente unita all’umanità di qualsiasi uomo.

Il Papa stimola la curiosità di tutti coloro che cercano dei paralleli o delle chiavi di lettura, capaci di entrare a contatto con l’umanità stessa di Gesù, per tramite di una particolare categoria concettuale e indubbiamente “storica”, la “precarietà”, e non dell’esistenza in senso generico, ma nell’esistenza in senso particolare. «la precarietà segna la vita di Gesù fin dalla sua nascita. (…) c’è anche, da subito, il rifiuto di un mondo che si fa ostile e cerca il bambino “per ucciderlo” (Mt 2, 13), oppure resta indifferente e disattento al compiersi del mistero di questa vita che entra nel mondo: “non c’era posto per loro nell’albergo”» (Lc 2, 7) (n. 33).

I punti d’osservazione sono tanti per definire la precarietà della vita di Gesù: il rischio per la vita, nessuno infatti vuole ospitare il Figlio di Dio ed Egli vede la luce in una grotta, riscaldato da quanto l’ambiente poteva offrire. Precario anche più tardi, da giovanissimo, anche in questo caso deve fuggire, intraprendere il lungo cammino verso l’Egitto sotto la protezione del padre putativo, un grande uomo, Giuseppe. Gesù è precario anche e soprattutto perché ha condiviso con gli ultimi le stesse condizioni di vita, vivendo in povertà fino alla sua morte in croce. Ha sposato anche l’ultima delle condizioni di vita “precarie”, la condanna a morte da parte di altri uomini, cosa c’è di più precario se non il mettersi nelle mani di persone che possono e vogliono fare dell’altro quello che credono meglio.

Allora come guardare a questo esempio? Ecco la risposta di Giovanni Paolo II: «(…) Gesù è guidato dalla certezza che essa – la vita – è nelle mani del Padre» (n. 33). La luce di Dio nella propria vita è in grado di contrastare e rendere meno difficile sopportare qualsiasi sofferenza, qualsiasi precarietà e povertà. Gesù ha saputo purificare il dolore dell’uomo e i moti di pessimismo che albergano in persone sconfitte dalla vita, nel bagno dell’acqua del dono di sé. «È proprio nella sua morte che Gesù rivela tutta la grandezza e il valore della vita, in quanto il suo donarsi in croce diventa fonte di vita nuova per tutti gli uomini (cf. Gv 12, 32) (…) Per questo sulla Croce può dirgli: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46), cioè la mia vita. Davvero grande è il valore della vita umana se il Figlio di Dio l’ha assunta e l’ha resa luogo nel quale la salvezza si attua per l’intera umanità!» (n. 33).