50. “Evangelium Vitae”. Giustizia e misericordia: le due facce della medaglia del rispetto della dignità umana

Il primo capitolo dell’importante Enciclica che stiamo trattando, è una profonda riflessione sul senso del male nel mondo declinata nell’ambito del rapporto tra vita e peccato. Ogni uomo deve confrontarsi prima o poi con la morte, non è possibile non pensare a questo evento perché non è possibile pensare a non accettiamo l’dea che in noi cessi la vita. Vivere significa anche pensare alla morte e la domanda che emerge forte è, perché? Nell’Enciclica il problema è affrontato con chiarezza: la morte è entrata nel mondo a causa del peccato, ecco la considerazione da cui partire e che lo stesso Pontefice, riprendendo il libro della Genesi, esprime fin dalle prime righe: “Il Vangelo della vita, risuonato al principio con la creazione dell’uomo a immagine di Dio per un destino di vita piena e perfetta (cf. Gn2, 7; Sap 9, 2-3), viene contraddetto dall’esperienza lacerante della morte che entra nel mondo e getta l’ombra del non senso sull’intera esistenza dell’uomo. La morte vi entra a causa dell’invidia del diavolo (cf. Gn 3, 1.4-5) e del peccato dei progenitori (cf. Gn 2, 17; 3, 17-19). E vi entra in modo violento, attraverso l’uccisione di Abele da parte del fratello Caino: «Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gn 4, 8)”. La violenza dell’evento, la profanazione del relazione fraterna, l’invidia, la gelosia, l’ira provata verso il più fortunato, la caducità del premio in palio, tutto descrive gli elementi essenziali e qualificanti dell’aberrante vita di chi cerca e pratica uno stile di morte, una non – vita, una morte perenne. Eppure l’uomo non è predestinato mai e nessun in caso al male. Infatti Caino, pur macchiandosi del gesto peggiore, non vede reciso il suo rapporto con Dio. Pur rimando inalterata la realtà della tentazione: “(…) come già Adamo, egli è tentato dalla potenza malefica del peccato che, come bestia feroce, è appostata alla porta del suo cuore, in attesa di avventarsi sulla preda. Ma Caino rimane libero di fronte al peccato”, non scompare l’amore di Dio verso l’uomo. A causa del peccato di Adamo il male è entrato nel mondo, ma la sua libertà di aderirvi o meno rimane inalterata. A fare da contraltare alla libertà dell’uomo buono che fugge il peccato e il male che da esso deriva, emerge la menzogna, la bugia, la vergogna per l’offesa commessa e che esprime l’anima colpevole di un atto che lo allontana sempre più dalla fonte stessa dell’amore e del perdono. Caino così risponde a Dio che gli chiede conto della sorte del fratello: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gn 4, 9). Tentando di attualizzare, sotto quali spoglie oggi compaiono le menzogne che coprono le offese fatte all’uomo? Le ideologie si propongono spesso come la panacea di ogni problema umano, giustificando azioni e scelte politiche e economiche che “uccidono il fratello”, sostenendo sistemi finanziari che annullano la libertà di interi popoli, deresponsabilizzandosi in modo scandaloso. Sono questi i nuovi Caino perché alla domanda posta dalla coscienza cristiana, che fine ha fatto Caino, la risposta è “Non so, non sono certo io il suo guardiano”. Forse non il guardiano ma sicuramente il suo carnefice. I membri più deboli della nostra società, questi sono oggi i tanti Abele: anziani, immigrati, rifugiati, ammalati, bambini indifesi, donne maltrattate, … uomini e donne calate in un sistema che ignora fino a quando non sono oggetto di sfruttamento. La giustizia non è però dimenticata da Dio perché la terra stessa rifiuterà di dare frutti a Caino, l’ambiente si trasforma di fronte al peccato, il giardino dell’Eden, diventa steppa e deserto, luogo di miseria e solitudine, il luogo dove l’omicida non pentito è condannato a vivere. Dio sorprende con la sua decisione di proteggere Caino, Egli infatti impone un segno su di lui affinché nessun uomo lo tocchi, così lo protegge e difende da quanti vorrebbero ucciderlo anche solo per vendicare la morte di Abele. Si potrebbe semplicisticamente richiamare l’immensa bontà e misericordia di Dio per comprendere una simile scelta. In realtà, pur se in termini generali è certamente così, l’irriducibile bontà di Dio non può non integrarsi con una prospettiva di vita e progettualità che riconduce l’uomo al Creatore: nessuno tocchi Caino perché “Neppure l’omicida perde la sua dignità personale” di fronte a Dio. Ecco che il paradosso si risolve, Dio non vuole la morte del peccatore ma che si penta e viva.