47. Chiesa e cultura nella “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II

“(…) il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell’uomo, ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino. È a questo livello che si colloca il contributo specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura”.

Il rapporto tra Chiesa e cultura è sempre stato fondamentale affinché la buona novella venga davvero compresa, essa deve essere calata in modo appropriato nella cultura di coloro a cui il messaggio evangelico viene proposto, pena il rifiuto o addirittura l’aperto contrasto. Il contesto culturale potrà far emergere delle differenze sul piano rituale o favorire una più o meno rapida crescita in consapevolezza dell’esperienza cristiana, ma mai la diffusione del Vangelo ha messo in discussione la sua sostanza, il suo nucleo profondo. Il Vangelo si rivolge al cuore dell’uomo, rispettato e amato nella sua integrità. Ogni uomo è figlio di Dio, fratello tra fratelli, soprattutto per ogni uomo Gesù è morto e risorto. Parlare di questo agli uomini implica prima di tutto entrare nella loro cultura, comprenderla fino in fondo, individuare in essa i germi della salvezza e dell’avvicinamento a Dio e saper in tal modo indicare la strada per una piena sua maturazione verso la verità cristiana. Cammino non facile anche in quelle età della vita o in epoche storiche che si caratterizzano per il rifiuto di alcuni aspetti fondanti la cultura di appartenenza. Ma rifiuto culturale non deve significare automaticamente rifiuto di un messaggio di speranza e d’amore che nel tempo ha sposato e condiviso passaggi e scelte culturali proprie di una specifica società. Occorre invece saper distinguere. Così il Papa: “In effetti, il patrimonio dei valori tramandati ed acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre più adeguate ai tempi” (n. 50). Non è tanto la contestazione a preoccupare, anche perché essa non solo è legittima ma spesso porta a forme di evoluzione e purificazione; il rischio riguarda la chiusura di una cultura verso ciò che è diverso perpetuando “(…) forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell’uomo, allora essa diventa sterile e si avvia a decadenza”. Il linguaggio della fede è un altro: apertura al confronto, corresponsabilità nell’edificazione del bene comune, trasparenza ed efficacia nella comunicazione tra gli uomini. Schiere di filosofi prima e sociologi dopo, si sono espressi circa i modelli di sviluppo culturale e sociale ideali. Diverse le soluzioni perché diverso il modello di uomo a cui fare riferimento. La cultura dell’uomo intrisa di fede cristiana promuove invece un uomo il cui orizzonte ultimo è la piena comunione con Dio, un uomo che non disconosce nulla di sé perché egli stesso uscito dalle mani di Dio riconosciuto come creatore e redentore dell’universo intero. Si tratta quindi di qualificare, valorizzare, promuovere tutto l’uomo, a favore di una cultura che sappia fare dell’anelito umano alla trascendenza, un suo pilastro fondamentale e spingersi verso quel cambiamento tanto da sperato, capace di metter al centro della propria attenzione il povero. Trascendenza e comprensione, le due indicazioni che nell’Enciclica sono riportate perché le potenzialità del povero possano crescere in modo che egli si possa affrancare da una vita fatta di stenti e dipendenza. Indicazioni da esprimere a livello internazionale per una cultura capace di una “(…) concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano”. Il rapporto tra il Vangelo e la cultura di appartenenza deve tendere a realizzare un cambiamento degli stili di vita di tutti e ciascuno ma in particolare dei più fortunati e forti al fine di limitare “(…) lo spreco delle risorse ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente”. La famiglia delle Nazioni si deve occupare di come arricchire il povero e di come rimanere arricchita dai poveri stessi, beni materiali in cambio di elevazione spirituale e culturale, un traguardo ambizioso ma possibile.