41. Centesimus Annus: conoscenza, interconnessione, estinzione del debito, rapporto tra proprietà privata e universale destinazione dei beni della terra

L’autonomia e lo sviluppo della persona chiama in causa la legittima pretesa del riconoscimento del diritto alla proprietà privata, parimenti “(…) mentre proclamava il diritto di proprietà privata, il Pontefice (Leone XIII) affermava con pari chiarezza che l’«uso » dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione comune di beni. (…) perché « sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge, il giudizio di Cristo ». (n. 30). Giovanni Paolo II, parlando della proprietà privata, si premura di ribadire le parole del suo illustre predecessore e richiama anche il Concilio Vaticano II quando afferma che i beni personali non solo devono essere considerate propri ma anche “comuni” perché giovano contemporaneamente al proprietario e ad altri. Se quindi la proprietà privata deve essere considerata come un prolungamento della libertà umana, “La stessa proprietà privata ha per sua natura anche una funzione sociale, che si fonda sulla legge della comune destinazione dei beni». (n.30). Del resto l’universale destinazione dei beni della terra si evince dalle parole della Genesi quando afferma che la terra è affidata da Dio all’uomo perché goda dei suoi frutti e la domini con il proprio lavoro. Il lavoro è la chiave interpretativa della legittimità della proprietà privata. Con il lavoro l’uomo fa proprio il prodotto che riesce a costruire, ad amministrare e rendere disponibile per sé e i propri cari. Tale frutto non è sempre di carattere materiale. Giovanni Paolo II insiste nel sottolineare che il fattore decisivo per la produzione oggi non è più la terra o il capitale, ma l’uomo stesso: “cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro” (n. 33). Purtroppo oggi non tutti gli uomini hanno la possibilità di entrare in modo dignitoso all’interno di un sistema di impresa “non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate la loro qualità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati (…)” (n.33). Purtroppo occorre ammettere che questa è una forma di furto, la peggiore, il furto della dignità di intere popolazioni, che si cerca di mascherare con politiche coatte di controllo demografico. Alla povertà materiale si è aggiunta quindi quella della conoscenza “(…) che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione” (n. 33). Anche la possibilità dell’interconnessione diventa elemento fondamentale per lo sviluppo dei paesi più poveri: escludere intere popolazioni dai circuiti economici è un’altra forma di povertà e discriminazione. L’uomo non è una merce ma è trattato come tale in quei sistemi che assicurano l’assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell’uomo. Ad esso si oppone un mercato libero, dell’impresa e della partecipazione “opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società” (n.35), in cui l’impresa non assolutizzi il profitto, inseguendo un’etica del profitto disumana, ma sia una comunità di uomini “(…) che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società” (n. 35). In questa prospettiva ha un senso il richiamo del Papa: le nazioni più forti devono creare occasioni di valorizzazione e inserimento nella vita internazionale, delle nazioni più deboli e loro devono cogliere queste occasioni “(…) facendo gli sforzi e i sacrifici necessari, assicurando la stabilità del quadro politico ed economico, la certezza di prospettive per il futuro, la crescita delle capacità dei propri lavoratori, la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli delle loro responsabilità” (n. 35). Il debito estero dei paesi più poveri, ad oggi rimane il problema più grande. Ma quale è il “giusto” debito? Di nuovo il Pontefice esprime con saggezza l’equilibrio di una posizione rispettosa della dignità umana: “(…) i debiti debbano essere pagati; non è lecito, però, chiedere o pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione intere popolazioni. Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati con insopportabili sacrifici. In questi casi è necessario — come, del resto, sta in parte avvenendo — trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso” (n. 35). Ci piace ricordare che in occasione del Giubileo la riduzione del debito fu una promossa che molte nazioni ricche s’impegnarono a rispettare, ad oggi questa promessa rimane drammaticamente disattesa se non in pochissimi casi eccezionali. Estinguere il debito significa libertà di progettare, curarsi di mantenere l’instabilità politica ed economica nei paesi poveri è una chiara forma di schiavitù.

One thought on “41. Centesimus Annus: conoscenza, interconnessione, estinzione del debito, rapporto tra proprietà privata e universale destinazione dei beni della terra”

  1. maria laura petrongari

    L’enciclica è potente.Fonda secondo me il senso della gestione della cosa pubblica, la responsabilità degli amministratori pubblici e di giustizia,e la consapevolezza dei cittadini nel conferire mandato ai propri rappresentanti i quali, quando agiscono in disprezzo e nella dimenticanza del carico di valori e di bisogni che sono chiamati a gestire perchè tutti possano vivere pacificamente e bene, senza emarginazione o sofferenza per alcuno, si mettono contro Dio che è l’unico essere a cui tutto appartiene ed al quale andranno alla fine a rispondere.
    Maria Laura Petrongari

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