34. La “Centesimus annus”: la Dottrina Sociale della Chiesa, cerniera tra le “cose nuove” di ieri e le “cose nuove” di oggi

«L’atteggiamento del Papa (Leone XIII) nel pubblicare la Rerum novarum conferì alla Chiesa quasi uno “statuto di cittadinanza” nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito. In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore».

Giovanni Paolo II introduce la sua riflessione facendo riferimento alla “Rerum Novarum” (1891) del suo illustre predecessore, Leone XIII, proponendo una triplice ottica a cui riferirsi nell’attualizzare i temi che nell’Enciclica leonina vengono affrontati: guardare indietro, guardare intorno e guardare al futuro. Ciascuna dimensione del guardare è diversamente sviluppata nella “Centesimus annus”, documento pubblicato 100 anni dopo (1991), e già nel precedente articolo abbiamo accennato a cosa faceva riferimento papa Leone XIII quando parlava delle “cose nuove”. Giovanni Paolo II riprende questa riflessione e spiega che la Chiesa ha il diritto – dovere di pronunciarsi in merito alle questioni sociali. La comunità civile, già alla fine dell’800, stava iniziando a fare i conti con una dimensione certamente non nuova nella sua essenzialità ma indubbiamente inesplorata circa la sua specificità: il conflitto tra capitale e lavoro. Un conflitto capace di generare una divisione non facilmente governabile rispetto alla quale il Papa non fece mancare la sua parola sottolineando in modo particolare i diritti fondamentali dei lavoratori, la dignità del lavoro, definito come « l’attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita, e specialmente alla conservazione», lavoro come vocazione personale, nonché la sua dimensione sociale “per la sua intima relazione sia con la famiglia” che con la ricchezza degli Stati. Infine, pur cosciente del fatto che non sia un valore assoluto, Leone XIII indica sia il diritto alla proprietà privata che la sua necessaria complementarietà: la destinazione universale dei beni della terra. Il modo con cui lo spessore e le implicazioni delle “cose nuove” vennero quindi trattate nell’Enciclica fa da “sponda” per tutti gli altri pronunciamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. Giovanni Paolo II riconosce questo contributo attribuendo a Leone XIII di essere stato capace di fare sintesi di due diversi e opposti atteggiamenti: “Ai tempi di Leone XIII una simile concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben lontana dall’essere comunemente ammessa. Prevaleva, infatti, una duplice tendenza: l’una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede doveva rimanere estranea; l’altra rivolta verso una salvezza puramente ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra. L’atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum novarum conferì alla Chiesa quasi uno « statuto di cittadinanza » nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito. In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore.” Indubbiamente il papa del “santo subito” riconosce che, a distanza di cento anni, il contributo del suo predecessore è di fondamentale importanza in vista della “nuova evangelizzazione”, la sfida a cui papa Giovanni Paolo II spesso si riferiva. Essa, secondo il pontefice, si deve basare sull’annuncio della dottrina sociale della Chiesa perché idonea tuttora, come ai tempi di Leone XIII, ad indicare la retta via per rispondere alle grandi sfide dell’età contemporanea. Fuori dal Vangelo non c’è soluzione né della «questione sociale», né delle “cose nuove” al di là delle loro fattezze e del momento storico a cui ci si riferisce. Il giusto salario, la libertà di associazione, il riposo festivo e il diritto a professare la propria fede sono tutte attenzioni che Leone XIII con ferma convinzione esprime a favore del lavoratore. Giovanni Paolo II ripropone tutto ciò capendo bene che l’interrogativo di fondo rimane ed era e continua ad essere attuale: gli ordinamenti legali vigenti e la prassi delle società industrializzate assicurino oggi effettivamente l’espressione e non la semplice proclamazione di questi diritti?