25. Sollicitudo Rei Socialis: L’autentico sviluppo umano in una società dei consumi e dei “rifiuti”

La categoria di riferimento e trasversale alle considerazioni che ritroviamo nell’Enciclica è quella riferita al concetto di sviluppo umano. Immediatamente essa solleva una provocatoria riflessione: quando lo sviluppo umano può essere definito autentico? Giovanni Paolo II sottolinea la questione dedicandogli un’intera sezione. In essa si mette in discussione un’idea di sviluppo che con facilità si è venuta a diffondere nella cultura occidentale, soprattutto all’indomani della rivoluzione Illuministica europea, ma che non convince se messa alla prova della storia. Il papa fa notare che “[…] lo sviluppo non è un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, come se, a certe condizioni, il genere umano debba camminare spedito verso una specie di perfezione indefinita. Simile concezione […] sembra posta ora seriamente in dubbio, specie dopo la tragica esperienza delle due guerre mondiali, della distruzione pianificata e in parte attuata di intere popolazioni e dell’incombente pericolo atomico”. Se davvero il percorso dell’umanità verso la perfezione fosse legato ad un modello lineare di sviluppo e progresso, come mai eventi tragici che esprimono gli aspetti più crudeli e violenti dell’uomo verso l’uomo, verso le altre forme viventi e verso il pianeta stesso, continuano a ripresentarsi in modo sempre più terribile e incontrollabile? Dovremmo forse ammettere che tali eventi sono espressione di progresso? Evidentemente il destino dell’umanità non è qualcosa che può essere costruito e raggiunto affidandosi ad una sorta di generica mentalità meccanicistica. C’è di più, c’è l’uomo, le sue scelte, c’è il male e c’è il bene. La stessa concezione “economica” del termine sviluppo, ben collegata a quanto appena esposto, lascia sul tappeto della storia tutto il suo limite, infatti, “la pura accumulazione di beni e di servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità umana”, perché c’è sempre una minoranza che invece non ne gode. Neanche “la disponibilità dei molteplici benefici reali, apportati negli ultimi tempi dalla scienza e dalla tecnica, compresa l’informatica, comporta la liberazione da ogni forma di schiavitù.” Se infatti le risorse di cui l’uomo dispone non sono governate da “un intendimento morale e da un orientamento verso il vero bene del genere umano, si ritorce facilmente contro di lui per opprimerlo”. La società dei consumi sembrerebbe essere espressione del progresso e dello sviluppo umano … almeno così la maggior parte del sistema culturale moderno governato dall’economia, vuole farci credere… ma è davvero così? Se si guarda con più attenzione, gli stessi uomini “opulenti”, quelli “evoluti”, sono schiavi dei beni e dei servizi che la società mette loro a disposizione fino a non poterne fare a meno “senza altro orizzonte che la moltiplicazione o la continua sostituzione delle cose, che già si posseggono, con altre ancora più perfette. […] Un oggetto posseduto, e già superato da un altro più perfetto, è messo da parte, senza tener conto del suo possibile valore permanente per sé o in favore di un altro essere umano più povero. […] quanto più si possiede tanto più si desidera mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate”. Ciò che non sta al passo dei tempi, tempi scanditi sempre dagli “evoluti”, è uno scarto, un rifiuto che non serve più a nulla, perde quindi il suo valore intrinseco solo perché può essere sostituito… una modalità relazionale applicata continuamente alle persone. La questione rimanda al problema esistenziale fondamentale: essere o avere, come rapportare le due legittime esigenze all’interno di una dimensione di sviluppo e progresso che rispetti l’essenza della persona? Del resto “l’«avere» oggetti e beni non perfeziona di per sé il soggetto umano, se non contribuisce alla maturazione e all’arricchimento del suo «essere», cioè alla realizzazione della vocazione umana in quanto tale”. Ecco quindi affacciarsi un orizzonte diverso, quello della perfezione morale a cui l’uomo deve tendere, percorrendo una storia che potrà essere fatta di avanzamenti e cadute ma che in entrambi i casi chiama in causa la responsabilità personale e comunitaria. Occorre accettare e sostenere un’idea diversa di progresso, non quella basata sulla disponibilità dei beni e dei servizi, per quanto importanti e utili, ma prima di tutto quella basata sul “bene” e sul “servizio”. Una perfezione morale che ha un solo nome: Gesù.