21. Laborem Exercens: Il lavoro nell’insegnamento della Chiesa / 1

Il limite delle visioni materialiste e economiste: riconoscere il primato dell’uomo sulle cose implica il primato dell’uomo sul lavoro

Il senso della disponibilità delle risorse del Creato che il Signore consegna all’uomo, tenendo conto del testo della Genesi, ha un’unica interpretazione che il venerabile papa Giovanni Paolo II ribadisce nell’Enciclica oggetto dei nostri approfondimenti: “(…) non possono servire all’uomo se non mediante il lavoro”. Un’affermazione che non solo indica la corretta modalità del dominio dell’uomo sulla natura, ma sollecita anche altre considerazioni in ordine al rispetto stesso dell’uomo verso le risorse del Creato. Ricchezze che l’uomo trova, già pronte, non le crea. Sottolineatura fondamentale: si tratta infatti di una “donazione da parte della «natura», e cioè in definitiva da parte del Creatore”. Il dono, per quanto appartenga al ricevente, implica sempre un particolare rapporto di rispetto, di gratitudine e di continuità con il senso e il valore che l’oggetto donato possiede nella mente del donatore. Chiunque dona qualcosa di prezioso a qualcun altro, compie questo atto scegliendo accuratamente il ricevente perché consegnando quanto si ha di più prezioso si investe l’altro di una responsabilità e gli riconosce un valore che esprime nel gesto e nell’oggetto donato. Chi riceve, non riceve soltanto qualcosa, ma un impegno a conservare e valorizzare l’oggetto dato perché segno e simbolo di un valore più grande, del senso di fiducia, del sentimento di amicizia e affetto che intercorre tra chi dona e chi riceve. Banale sarebbe pensare che nella misura in cui si riceve qualcosa si possa farne quello che si vuole. È una visione riduttiva che non rende ragione dell’onestà intellettuale e etica necessaria per riconoscere nell’umano quell’aspetto particolare che lo rende sovrano della natura e artefice del proprio destino. Una visione talmente vera che eticamente parlando sarebbe meglio rifiutare il dono se non si accetta il valore e il senso della relazione sottostante che giustifica l’atto di fiducia: sarebbe più corretto rifiutare che prendere in giro il donatore. Le conseguenze di un tale punto di partenza sono importantissime: l’uomo è soggetto del lavoro e non oggetto di esso. Il salto sembra inopportuno e fuori luogo invece è del tutto legittimo: è l’uomo che attivamente plasma e ordina, trova e sperimenta, usa e finalizza tutto ciò che ha ricevuto dal Creatore. È l’uomo che è stato elevato ad una dignità unica dal suo Creatore, la creatura che prende in consegna l’opera del suo Signore. È l’uomo quel ricevente così importante nella mente del donatore tanto da ricevere, appunto, una ricchezza enorme da conservare e sviluppare. L’uomo, l’amato a cui il Signore affida l’opera delle sue “mani”. Che grande valore, dignità e compito che abbiamo ereditato, un compito che trova la sua espressione più compiuta e “misteriosa” nel lavoro. Non un’attività qualsiasi quindi, tanto meno tesa a svalutare l’uomo stesso, tutto il contrario, lavoro non come strumento di politiche economiche a favore, per esempio, del capitale o dell’affermazione di un’ideologia. Lavoro invece che qualifica e rispetta la persona sempre come fine, “mai e solo come mezzo”, potremmo aggiungere per rifarci ad echi di kantiana memoria… in fondo fin qui la strada è facile, anche uno studente di liceo potrebbe affermare con forza principi che ben si sposano con alcuni aspetto della visione della persona propria del cristianesimo. Ma il percorso è assai più complesso e ricco, la dimensione della trascendenza che entra nella storia dell’umanità e di ciascuno non lascia spazio ad altre interpretazioni del lavoro se non quella che parte dalla Genesi stessa: il mistero della Genesi illumina il senso del lavoro. La priorità del «lavoro» nei confronti del «capitale» è quindi la diretta conseguenza di una tale impostazione, perché parlare di lavoro significa parlare dell’uomo e del compito che ha ricevuto da Dio. Un principio che investe tutto il processo di produzione, tanto da poter dire che il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il «capitale», essendo l’insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l’esperienza storica dell’uomo. “Tutti i mezzi di produzione, dai più primitivi fino a quelli ultramoderni, è l’uomo che li ha gradualmente elaborati. (…) Così, tutto ciò che serve al lavoro, tutto ciò che costituisce –allo stato odierno della tecnica – il suo «strumento» sempre più perfezionato, è frutto del lavoro”. È un altro modo di dire che occorre riconoscere “il primato dell’uomo nel processo di produzione, il primato dell’uomo di fronte alle cose. Tutto ciò che è contenuto nel concetto di «capitale» – in senso ristretto – è solamente un insieme di cose. L’uomo come soggetto del lavoro, ed indipendentemente dal lavoro che compie, l’uomo, egli solo, è una persona”. Una verità che, pur non contrapponendo il lavoro al capitale né tanto meno separandoli, “supera l’antinomia tra lavoro e capitale, cercando di strutturarsi secondo il principio sopra esposto della sostanziale ed effettiva priorità del lavoro, della soggettività del lavoro umano e della sua efficiente partecipazione a tutto il processo di produzione, e ciò indipendentemente dalla natura delle prestazioni che sono eseguite dal lavoratore”. Il lavoro secondo il Vangelo è una via in grado quindi di sintetizzare tante esigenze inderogabili: il valore della persona, il senso dell’opera dell’uomo, il superamento di contrapposizioni che hanno segnato ideologie e politiche economiche.