17. Laborem Exercens: introduzione e quadro storico di riferimento

L’intuizione del Giovanni Paolo II:  il lavoro come questione sociale non solo come questione operaia

L’importante Enciclica che con questo articolo iniziamo a proporre ai lettori, è stata segnata in qualche modo dal sangue e dalla sofferenza. Doveva essere, infatti, pubblicata il 15 maggio del 1981 ma proprio due giorni prima il venerabile papa Giovanni Paolo II veniva purtroppo ferito, come tutti sappiamo, dal colpo di una pistola in piazza S. Pietro, per questo si attese il 14 settembre dello stesso anno per presentarla al mondo. È la prima Enciclica sociale del grande pontefice e chiaramente è stata pensata per ricordare l’inizio del cammino della Dottrina sociale della Chiesa, con la Rerum Novarum del 1891 di papa Leone XIII. Per capire meglio il senso e la portata del documento, come di consueto, cerchiamo di descrivere in modo semplice e sintetico anche il contesto storico in cui viene elaborato, operazione indispensabile, pena il mancato apprezzamento delle sfide e dei risvolti profetici che l’Enciclica possiede. Tale quadro di riferimento è parte integrante del presente tentativo di fare un’adeguata introduzione al documento stesso. Siamo ormai a circa quarant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e il nuovo ordine imposto dai vincitori al mondo mostra da qualche tempo delle pericolose incrinature. La “Guerra fredda” è ormai una condizione irreversibile e le risorse per continuare a sostenere un equilibrio del genere implicano scelte sempre più rischiose e difficili, il mondo è stato, più di una volta, sulla soglia di una guerra nucleare. La sensibilità culturale in riferimento al tema del lavoro è particolarmente viva, soprattutto nell’Europa dell’Est, perché il sistema economico sviluppato a partire dalla Rivoluzione d’ottobre mostra tutti i suoi limiti di fronte a quello capitalista e ancor più tutte le sue contraddizioni, insiste nell’applicazione operativa dei principi che la ispirarono. I territori influenzati dalla politica sovietica devono confrontarsi con un malessere sempre meno controllabile, un malessere che parte dai lavoratori e che vede, proprio nella Polonia del nuovo papa, un fervido movimento a difesa della loro dignità. Le limitazioni imposte dalla politica pesano enormemente sulla volontà di libertà che i popoli dell’Est chiedono con forza. La consapevolezza inarrestabile che penetra senza riserve anche negli apparati dello Stato è quella che senza democrazia e tutela dei lavoratori lo sviluppo industriale è bloccato o quanto meno fortemente menomato, senza questo sviluppo non c’è futuro. È solo quindi una questione di tempo, l’Europa dell’Est è in attesa di qualcosa o qualcuno che abbia il coraggio di rompere un equilibrio difeso solo da personaggi che non hanno più carte da giocare. La storia quindi stava percorrendo la sua strada, quella che altri paesi, pur nella diversità dei casi, avevano percorso: la rivendicazione di diritti dei lavoratori sarebbe avvenuta in ogni caso, occorre capire a quale prezzo e in quale condizione politica ciò poteva accadere. Dall’altra parte del muro il liberismo economico aveva sciolto le vele e la politica della “deregulation” vedeva come protagonisti la Thatcher e il presidente Reagan. Era un mondo pronto ad accogliere e pretendere delle novità che non potevano non essere assorbite e fatte pesare, ancora una volta, sui lavoratori. Giovanni Paolo II seppe ben cogliere questa centralità e l’Enciclica è una chiara provocazione rivolta ai diversi sistemi economici che, per conservare se stessi e i relativi sistemi di potere, non temevano di procedere senza riguardo ai lavoratori stessi. Le novità sono però davvero valide, secondo il messaggio dell’Enciclica, non se conservano un equilibrio comodo ai potenti, ma in virtù degli effetti che esse hanno sui lavoratori. Ecco quindi l’affondo del pontefice a cui nessuno ha potuto sottrarsi. Il lavoro è un bene prima ancora che un diritto o un dovere. La via sviluppata dall’Enciclica e che oggi non abbiamo dubbi a cogliere con immediatezza, riguarda lo sciogliere dai lacci di un’impostazione a volte troppo politicizzata il tema del lavoro: non si tratta più di una questione ideologica e legata al mondo operaio, è una questione sociale, il lavoro come chiave di lettura dei cambiamenti sociali. Il passo avanti dai tempi della Rerum Novarum è ormai compiuto. Il messaggio allora supera le frontiere europee, corre lungo l’Atlantico e il Pacifico, viene accolto e compreso da quei paesi che attendono o stanno vivendo la loro rivoluzione industriale e che potranno beneficare delle consapevolezze a cui gli europei sono giunti per primi. È un messaggio di speranza: l’ambiente di lavoro è un luogo di evangelizzazione, di conversione, in cui l’uomo può ritrovare ed esprimere la sua stessa vocazione. È un messaggio di denuncia: occorre evitare che il “sistema lavoro” prenda il posto di altri sistemi che hanno piegato l’uomo alla volontà dei violenti e degli egoisti, celati prima dalle ideologie, poi dalla politica, oggi dall’economia.