11. Populorum progressio: carità e senso sociale per il bene di tutti

Ultimo appuntamento con la grande Enciclica Populorum progressio di papa Paolo VI. Tra i tanti e interessanti temi offerti dall’Enciclica, al termine della rubrica ad essa dedicata, ci sembra opportuno valorizzare quello che più di ogni altro è trasversale ad ogni approfondimento: la Carità. Un tema collegato al cosiddetto «senso sociale» e gli ineliminabili «ostacoli da superare» per l’edificazione di un mondo più giusto.: il nazionalismo e il razzismo. La Carità: tema impegnativo, una chiave di lettura del tutto particolare e fondamentale dei fenomeni sociali e della vita personale. Aprire un serio confronto con le tematiche sociali in ordine, ad esempio, al fenomeno del nazionalismo e del razzismo, oppure al valore delle scelte autonome di un popolo nella ricerca del destino personale da realizzare, o ancora al senso della presenza di imprenditori in paesi aperti solo recentemente allo sviluppo industriale, necessita di un confronto con la carità, se davvero vogliamo predisporci alla promozione del bene comune e alla difesa della visione integrale dell’essere umano. Diversamente, le deviazioni a favore degli interessi personali se non addirittura all’edificazione e al consolidamento dell’iniquità sociale sono di facile diffusione. Ecco quindi il campo entro il quale l’Enciclica propone un confronto, avendo sotto il braccio un Quotidiano che porta il nome “Carità”: i comprensibili sentimenti nazionalistici provati sia da «comunità da poco pervenute all’indipendenza politica», che da «nazioni di vecchia cultura», «devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana». Il rischio dell’isolamento dei popoli è infatti più che concreto, e ciò «risulterebbe particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi commerciali e culturali». Come di può ben capire non si tratta di riferirsi ad un’idea di carità astratta e in qualche modo “pietistica”, è invece un’intelligente e astuta modalità di agire che se disattesa mina il bene comune e alla lunga il bene anche dei più forti. Carità come apertura alla sintesi delle diverse istanze dei diversi popoli: sfida difficile ma è il compito arduo che porta a risultati migliori. Aspetto collegato al nazionalismo è quello del razzismo: «non è appannaggio esclusivo delle nazioni giovani, dove esso si dissimula talvolta sotto il velo delle rivalità di clan e di partiti politici, con grande pregiudizio della giustizia e mettendo a repentaglio la pace civile. (…) Esso costituisce altresì un ostacolo alla collaborazione tra nazioni sfavorite e un fermento generatore di divisione e di odio nel seno stesso degli stati». Altro fenomeno, altra provocazione: come coniugare la carità dentro una storia in cui nazionalismo e razzismo sono all’ordine del giorno ? Paolo VI risponde affermando che occorre avere bene chiaro in mente l’orizzonte a cui tendere: un mondo solidale che valorizzi il bisogno di collaborazione degli Stati più deboli. Il papa suggerisce anche le strade su cui costruire la speranza: «Speriamo che i paesi a meno elevato livello di sviluppo sappiano trarre profitto da buoni rapporti di vicinanza coi paesi confinanti, allo scopo di organizzare tra loro, sopra aree territoriali più vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo programmi comuni, coordinando gli investimenti, distribuendo le possibilità di produzione, organizzando gli scambi», perché un sentimento più acuto della solidarietà finisca «con l’avere la meglio sulle incomprensioni e sugli egoismi». L’onda lunga della solidarietà, nel segno della speranza, non può che favorire altre due dimensioni del bene comune: il principio dell’autodeterminazione dei popoli, il dovere dell’accoglienza; «Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere dell’accoglienza – dovere di solidarietà umana e di carità cristiana». Se questa fosse la prospettiva allora risulterebbe naturale, in un quadro di espansione economica dei “civilizzati” verso gli stati pre-industriali, pensare ad un imprenditore che invece di sfruttare la manodopera a basso costo rispettasse giuste regole sindacali… inaudita affermazione di questi tempi. Ecco quindi il papa, quello stesso Pontefice tanto amato e seguito da cattolicissimi imprenditori, fin quanto non si mette a parlare di questioni economiche: «La loro condizione di superiorità deve al contrario spronarli a farsi iniziatori del progresso sociale e della promozione umana, là dove sono condotti dai loro impegni economici. Il loro stesso senso dell’organizzazione dovrà ad essi suggerire il modo migliore per valorizzare il lavoro indigeno (…) Che la giustizia, almeno, regoli sempre le relazioni tra capi e subordinati». Amministrare tale giustizia significa operare nella carità, tutto per il bene comune, anche dei più forti. Quando si convinceranno?