1. La cappella del duomo e le scuole di musica

Se si vuole fissare una data, possiamo dire che la storia dell’organo (e della musica) inizia a Rieti prima del 1365, quando già ve n’era uno in cattedrale. Da questa data si può seguire passo il divenire di quella che fu poi la “Cappella del duomo”, la più antica istituzione musicale della città. L’esigenza di assicurare la continuità del servizio portò, come conseguenza, a coltivare una qualche forma d’insegnamento, che assomigliò sempre più a una scuola di musica nel senso odierno dell’espressione, frequentata per lo più da chierici.

Sull’esempio del capitolo della chiesa maggiore, altre chiese collegiate si preoccuparono d’istruire i chierici de gremio nella musica. Così, nel 1548, nell’alpestre Cittareale, un certo maestro Bonaventura da Fermo teneva «scola de musica a don Cesari, don Riccio Mario de Gencho et compagni» per complessivi 3 scudi d’oro al mese.

Più tardi, con l’apertura del Seminario diocesano (1564), la musica divenne ordinaria materia d’insegnamento per gli aspiranti al sacerdozio. Ne fu primo insegnante don Giovanni Vincenzo Tosoni, detto Moricheo dal soprannome del padre, che nel contempo era maestro di cappella a Rieti e all’Aquila, un tipo piuttosto inquieto e giramondo. Un altro maestro di musica in Seminario, sul finire del secolo XVI, fu don Stefano Marinotto, che ne era anche rettore, il quale si prestava pure, come altri suoi colleghi, all’insegnamento privato.

Pian piano Seminario e duomo divennero i centri di diffusione e d’irradiamento del verbo musicale: il seminario insegnando musica ai giovani leviti, i quali, una volta sacerdoti, ne portavano il ricordo e a volte anche l’insegnamento nelle varie plaghe della diocesi; i musici del duomo prestandosi, per qualche guadagno, a solennizzare, con i loro canti ed esibizioni strumentali, cerimonie di famiglie, monacazioni e feste cittadine e paesane.

Così la musica si spargeva nell’aria ed entrava negli animi e cresceva il numero di coloro che avevano desiderio di goderne le delizie o apprenderne i segreti.

Di questo interesse è riprova il diffondersi degli organi in moltissime chiese della città (un’eccezione quelle senza) e della diocesi e l’uso di altri strumenti, come cembali, chitarre, viole, liuti e pifferi, che di solito venivano comprati a Roma e nel cui acquisto e possesso sono sempre immischiati maestri o musici della Cappella del duomo e in genere chierici. Un integrum consertum violarum, per il prezzo di 16 scudi, fu comprato a Roma nel 1580 dall’organista e musico del duomo don Crescenzio Donati per incarico di quattro suoi amici, che meritano di essere ricordati come coloro che, con lui, diedero vita a Rieti forse al primo complesso cittadino. Erano di buona famiglia e istruiti; si chiamavano don Domenico Grato, dottore in utroque, e i fratelli Isidoro, Tarquinio e Fabio Petrozzi.

Che la pratica musicale fosse allora abbastanza diffusa nel Reatino, soprattutto tra i benestanti, è testimoniato anche dalla presenza di trattati, canzoni e mottetti, che si trovano nominati non raramente negli inventari notarili. Nel 1571, ad esempio, don Domenico Vespasiani di Rieti, chierico della cattedrale, possedeva duos consertos madrigalium et unum mottettum scriptum ad manum; tra i libri del celebre medico Paolo Bonamici di Casperia, che testa nel 1550, vi era «una tabula da imparare a sonare scripta ad mano», e nella libreria del nobilotto Ippolito Tabulazi di Labro «canzonette scritte a mano in musica».

Del resto le occasioni per suonare e cantare non mancavano: matrimoni, professioni religiose, solennità pubbliche, feste patronali e via dicendo. Per le feste paesane si erano attrezzate qua e là compagnie di pifferai, che presumibilmente facevano più fracasso che armonia. Abbastanza documentate sono le compagnie di suonatori di Morro e di San Giovanni Reatino. La loro rumorosa presenza cominciò a puzzare di spreco e di profano alla Chiesa del dopo Concilio di Trento, e il vescovo di Rieti fra Costanzo Bargellini, che aveva per questo un fiuto speciale, nel 1579 ingiunse ai festaroli di Castelfranco di non chiamare più per l’Annunziata piferarios et alios similia instrumenta pulsantes (pifferai e altri suonatori di strumenti consimili).

Ma, come tutte le cose profondamente radicate nella cultura di un popolo, queste bande di suonatori continuarono ad esistere e ad accompagnare soprattutto le manifestazioni religiose e le processioni, ma anche i carnevali e i giochi. Così, nel tardo ‘600, un coro di pive “armoniose” (come leggiamo in una cronaca) accompagnava la famosa e ancora viva e famosa processione di sant’Antonio.

Gli organi tra Sei e Settecento

E con questo cenno al ‘600 siamo giunti alle soglie di un periodo di tranquillità interna ed esterna, che si protrarrà nello Stato pontificio sin quasi allo scadere del ‘700. Una tranquillità che, sebbene politicamente asfissiante e per taluni aspetti negativa, a Rieti diede buoni frutti nell’edilizia civile e soprattutto in quella religiosa. Molte chiese vengono ricostruite o rinnovate nelle linee architettoniche secondo i dettami e i gusti del Barocco e del Rococò, in particolare al loro interno.

Va da sé che l’accresciuta attenzione all’arredo e all’ornato, tipica di questo secolo, come pure la pompa delle funzioni liturgiche, portano a rinnovare cantorie e organi, già largamente presenti nelle chiese urbane e foranee. Ma, mentre per le cantorie o orchestre ci si accontenta dell’opera, spesso egregia, di artisti del luogo – senza tuttavia dimenticare l’intervento di eccellenti maestri del legno del vicino Abruzzo, quali Donato Santella per il Coro d’inverno della cattedrale (e non solo) e Venanzio di Nanzio di Pescocostanzo per Contigliano e Antrodoco – per la costruzione dei nuovi organi ci si rivolge ai migliori maestri sulla piazza.

Abbiamo appena nominato Antrodoco e Contigliano. Ebbene, a costruire l’organo di Antrodoco fu chiamato nel ‘600 Luca Neri di Leonessa, autore, tra l’altro, del monumentale organo in S. Domenico di Perugia, di alcuni di Terni e Leonessa e di almeno tre di Rieti (di S. Lucia, di S. Pietro Martire e della Misericordia), mentre quello di Contigliano fu realizzato, un secolo dopo (1748), dal celebre Adriano Fedri o Fedeli e collaudato dal non meno celebre Giovanni Corrado Verle, chiamato appositamente da Roma. Lo stesso Verle l’anno prima aveva costruito nella capitale e fatto trasportare a Rieti il nuovo organo per la chiesa del monastero di S. Agnese.

In questi anni Adriano Fedri abita a Rieti, dove nel 1743 costruisce l’organo di San Fabiano, nel ’49 quello di Santa Chiara e nel ’52 quelli di San Donato e del duomo, strumento, quest’ultimo, affidato in seguito alla manutenzione di Damaso Fedeli o Fedri, figlio di Adriano e autore di un piccolo organo in cattedrale (cappella del Sacramento, ancora al suo posto), di quello di Santa Maria del Soccorso al Borgo (1793), non più esistente, e di altri.

A un altro celebre organaro, Cesare Catarinozzi, si devono gli organi di Santa Scolastica (1732), che si può ancora ammirare nella sua splendida cantoria, di San Leonardo o del Suffragio presso Porta d’Arci, chiesa non più esistente, e forse di San Benedetto.

Altri organi in questo secolo e nel seguente vengono costruiti da autori per ora ignoti in S. Giorgio, S. Giovenale, S. Giuseppe, S. Giovanni in Statua, S. Pietro Apostolo, S. Michele Arcangelo al Borgo, S. Pietro Martire ecc.