“Settanta acrilico trenta lana” cento per cento Viola Di Grado

A 23 anni si è pieni di sogni, di emozioni, di determinazione, di vita, si ha tanto da dire e lo si vuole urlare al mondo. Ma cosa sono 23 anni per una ragazza che scrive da quando ne aveva cinque? Una laurea, tanti viaggi, un sogno e una storia. Viola Di Grado non urla quello che ha dentro, ma in silenzio si fa ascoltare molto di più con il suo romanzo d’esordio. “Settanta acrilico trenta lana” irrompe con tutta la sua forza sulla scena letteraria italiana dei nostri tempi, travolgendo tutto quello che incontra. Non si ferma davanti a niente. Poetico e crudo al tempo stesso è il linguaggio con cui la giovane scrittrice racconta il dolore, la rabbia, il cinismo, l’amore di Camelia, una ragazza che vive con la madre in un mondo senza parole, fatto di silenzi assordanti.

Dopo il dramma e il conseguente trauma che madre e figlia subiscono, Camelia lascia gli studi e inizia a tradurre manuali di istruzioni per lavatrici, nella città inglese di Leeds. Lei rifiuta la bellezza del mondo, quella dei fiori e quella di una vita qualunque, ribellandosi allo stesso mondo che l’ha abbandonata, togliendole sorrisi e sicurezze. Poi incontra un ragazzo cinese, Wen, che decide di insegnarle la sua lingua. Gli ideogrammi cominciano così a riempire la vita di Camelia, iniziando dalle pareti di casa sua, sulle quali attacca fogli colmi di simboli, che finiscono per sommergerle testa e cuore.

Così come la protagonista, che recide fiori, che taglia e deturpa vestiti creandone di nuovi, eccentrici e bizzarri, con strani abbinamenti di tessuti e colori, la scrittrice accosta al lirismo e alla sensibilità del linguaggio la freddezza di un’esistenza che si ostina a essere brutta.

Al di là del finale, che può convincere o lasciare perplessi, al di là della storia che può o meno emozionare, al di là del romanzo che può piacere o non piacere, qui non c’è niente di irreale o poco credibile, c’è una storia tra le tante, c’è la vita di una persona, che deve fare i conti con tragedie, difficoltà e incertezze, che fa di tutto per proteggersi da se stessa e dagli altri, nascondendosi sotto una solida corazza.

Abbellito di metafore, sinestesie, iperboli, allitterazioni, curiose perifrasi, c’è il nostro mondo, la nostra quotidianità e la parlata sfacciata, e talvolta impertinente, dei giovani. Se rifiutiamo con disgusto questa realtà, così come appare nel libro, è solo perché non abbiamo il coraggio di ammettere che ci fa paura. Viola Di Grado lo sa e ci lancia questa sfida, dimenticando il linguaggio per poi ricomporlo a modo suo, cosa che lei stessa definisce essere la sua missione di scrittrice. E il senso di angoscia, che pervade tutto il romanzo, ha proprio la finalità di tradurre al lettore il rancore e il turbamento di chi vive una situazione così intensa.

Per capire come “Settanta acrilico trenta lana” sia personalmente costruito sulla lingua, basta poco, ci si riesce subito, sin dalle prime righe. E chi meglio dell’autrice può spiegare la potenza del linguaggio, il valore delle parole e il loro rapporto con la realtà? “Non lo capiva nessuno che sono le parole che sono contrarie alla vita, ti nascono in testa, te le covi in gola, e poi in un attimo ci spargi sopra la voce e le uccidi per sempre. La lingua è un crematorio incosciente che vuole condividere e invece distrugge, come le dita-lame di Edward mani-di-forbice, che se accarezza taglia la faccia.”

D’altronde non è un caso che abbia vinto il Campiello Opera Prima 2011. Il libro parla da solo.

3 thoughts on ““Settanta acrilico trenta lana” cento per cento Viola Di Grado”

  1. Claudia

    Una recensione scritta con passione; dimostri di aver amato questo libro e trasmetti anche agli altri la voglia di leggerlo…lo farò!! Complimenti Jè!
    Claudia

  2. Daddo

    Bravissima Jessica!!! questa recensione è bellissima, descrivi la trama e lo stile con passione e dai uno scorcio di ciò che realmente è questo libro!!! non vedo l’ora di leggerlo!!! bravissima!!

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